Materiali dall'Egitto - Zabargad


::Aprile/Maggio 2014::

Crociera a Zabargad - Rocky Island – St. John
Nel mare magnum dell’imprevedibilità

Fu un po’ come salpare per le Indie e sbarcare in America.

“Chi cerca, trova”, recita il proverbio. Magari non trova quello che si aspetta, magari trova qualcosa di molto più raro e speciale. E soprattutto di imprevisto.
Le stelle ondeggiavano quella sera sul ponte superiore dell’Aldebaran. Era come se cullassero i corpi indolenti adagiati sui cuscini a recuperare le forze. Era come se li avvolgessero in un dolce dondolio per consolarli, per rasserenarli. Perché i volti erano seri, assorti. Guardavano il cielo del colore del mare, ipnotizzati dallo scintillio tremulo delle stelle che brillavano. Volti silenziosi, pensierosi, pieni di nostalgia e di stupore. Qualcuno obiettò che fosse la barca ad ondeggiare e non gli astri celesti. Ma che importava? Perché disilludere da quella magia, da quell’incantamento che rapiva l’anima e prolungava quello stato idilliaco di appagamento? La sorpresa si sposava con l’incredulità al ricordo della crociera appena trascorsa nel Mar Rosso, a ridosso dei comprensori corallini del sud dell’Egitto. Nessuno si sarebbe aspettato quello che accadde veramente, nessuno avrebbe potuto prevederlo, soprattutto per come il viaggio era iniziato.
Il tragitto da Marsa Alam al porto di Hamata, dopo un volo in ritardo di due ore e dopo un’altra ora di estenuante fila all’aeroporto per l’espletamento delle pratiche doganali, era trascorso su un pulmino carico di attrezzature e di speranze. C’era chi aveva ceduto alla stanchezza e dormiva raggomitolato sul sedile e chi invece, in preda all’euforia, parlava in continuazione, eccitato e adrenalinico. La notte è giovane, soprattutto quando, superato il momento fisiologico del proprio bioritmo, ci si scuote dal torpore e si ha la sensazione di poter andare avanti ad oltranza annullando il tempo del sonno a vantaggio di quello della veglia. Distese di piste sabbiose senza luci, canyon di wadi senza acque, poveri villaggi senza case, chilometri divorati nel cuore magico del deserto.


Alle tre del mattino, finalmente, si giunge a destinazione e si sale sulla lussuosa imbarcazione da crociera. Difficile ambientarsi, rendersi consapevoli subito. Si è alquanto frastornati, ma l’accoglienza è gentile, il letto è comodo e la stanchezza può finalmente trovare soddisfazione.
Il mattino seguente, dopo appena quattro ore di sonno, l’atmosfera è cambiata. Tira aria di bufera. Eppure il mare è una tavola, piatto, placido, rilucente sotto i raggi del sole che illuminano radiosi il nuovo giorno. C’è tensione nell’aria, si è discusso animatamente, si è protestato con veemenza. I responsabili dell’organizzazione sono attaccati ai cellulari, chiamano la sede centrale, per avere chiarimenti, per trovare soluzioni. C’è stato un grossolano errore, un fraintendimento sulla destinazione. Quella promessa e venduta nel pacchetto di viaggio originario, in realtà, non si farà. C’è un cambio di itinerario in corso d’opera. Panico, disorientamento. Metà dei subacquei presenti ha aderito ad un programma che non è lo stesso venduto all’altra metà? Che confusione! Musi lunghi, mugugni. Alcuni esprimono le loro rimostranze senza mezzi termini, minacciando addirittura di scendere dalla barca. Altri, dopo essersi ripresi dallo shock, la prendono con filosofia. Oramai siamo qui, godiamoci la vacanza, anche se non è quella che ci aspettavamo. Eppure, un sentimento di irridente compiacimento per questo scherzo del destino s’insinua nella mente di qualcuno. Già, il destino. Non sarà che tutto questo sia un augurio di buona sorte, un segnale che la dea bendata sta mandando agli scettici, invitandoli ad uscire dalle rigide categorie di ciò che è scontato per lanciarsi nel mare magnum dell’imprevedibilità? Non sarà che stiamo partendo per le Indie e scopriremo l’America?
Il tempo necessario per elaborare la delusione e riadattarsi alla nuova situazione, la scoperta della buona fede dell’organizzatore che si profonde in scuse per quell’imperdonabile svista dovuta semplicemente a disattenzione da super lavoro, sono condizioni sufficienti perché, a metà mattinata, il comandante molli gli ormeggi e volga la prua in direzione sud, verso la misteriosa e leggendaria isola di Zabargad.
Appare così, color del magma rappreso, vulcanica e fossile, circondata da una laguna celestiale che un reef corallino affiorante circonda come una corona tempestata di pietre preziose. E i gioielli in questione hanno le tonalità del topazio, verde olivina, come le gemme estratte dai giacimenti minerari di un terreno brullo, aspro, bruciato. Luogo di riproduzione delle tartarughe marine, che qui si trascinano faticosamente per il compiersi dell’antico ed eterno rito della natura. Nelle calde notti d’estate, scavano buche nella sabbia arida, la dissetano dall’arsura con le lacrime versate come gocce di rugiada ad ammorbidire, a rinfrescare e a preparare ricoveri protetti come incubatrici per la schiusa delle uova. A primavera i nidi aerei dei falchi pescatori, in agguato a ghermire le prede che traspaiono a pelo d’acqua, riempiono l’aria di cinguettii squillanti, di batter d’ali sgargianti. E il corallo, frammentato, crea un alveo di fine rena rilucente che testimonia la narrazione geologica e primordiale dell’origine, l’affioramento della crosta terrestre a seguito della sollevazione tettonica di un frammento di litosfera del Mar Rosso. Preludio di un mondo sottomarino scintillante, giardino di madrepore, coltivato dei boccioli schiusi di rose rosse, inganno floreale delle uova di ballerina spagnola che sfodera il suo mantello di notte, in una danza ipnotica e voluttuosa. Murene fuori tana in caccia, pesci napoleone in cerca, pesci scorpione in marcia. Pterois volitans enormi, in gruppo, distendono le pinne zebrate, le sbattono come ali svolazzando in ogni direzione, infilandosi in mezzo alle gambe e inseguendo la luce delle torce, insistenti, caparbi, invadenti.
Il microcosmo di Zabargad cede il passo all’universo mondo di Rocky Island.
Pareti che sprofondano nel blu degli abissi marini, regno dei grandi pelagici. Non c’è affollamento, ma esemplari solitari che incutono timore, che impongono reverenza. Uno Sphyrna Lewini nuota sinuoso nel blu, a pochi metri dal reef. E’ lento, maestoso, padrone. Ondeggia la testa da un alto all’altro, offrendo alla vista ora l’una ora l’altra protuberanza. Sembra non vedere, sembra non curarsi affatto di quelli che lo guardano ammirati, estasiati. E’ guardingo, cauto, in stato di allerta. Si concede per una breve intensa apparizione proprio quando i computer segnalano inesorabilmente l’eccessiva profondità, ma in quel frangente niente è troppo eccessivo di fronte ad uno squalo martello smerlato che trasforma un’immersione ordinaria in un momento topico, memorabile, assoluto. I tonni stazionano curiosi a metà del percorso, a pochi metri dall’uscita. Poco più in là, a Sataya, l’acqua è increspata dalle acrobazie dei delfini stenella, che fanno capolino tra i flutti in un divertente nascondino che si fa beffe degli inseguitori. Il gommone va a tutto gas per tagliargli la strada, per piazzarglisi davanti a rischio di un incidente frontale. Tutti in acqua. Niente indugi, bisogna correre, veloci, idrodinamici, ad affiancare quella dozzina di cetacei striati, che mimano il nuoto sincronizzato delle gare olimpioniche con la stessa grazia e agilità delle sincronette, in uno spettacolo coreografico di danza corale, esoterica e rituale.
Sarà solo l’aperitivo, l’anteprima di ciò che accadrà più tardi, il giorno fortunato del 1 maggio nel sito chiamato Sha’ab Claudio.
E’ un luogo famoso per il reticolo di tunnel, grotte e canyon attraverso cui si passa rasenti le strette pareti calcaree in simbiosi con i giochi di luce che inondano le cattedrali sommerse. E’ questo a rendere l’immersione affascinante. Sarà, ma dopo il terzo, quarto passaggio, tesi nello sforzo di controllare l’assetto per non sbattere goffamente la testa e per evitare di toccare il fondo con le pinne, la stanchezza si trasforma in noia e anche un po’ in irritazione. Fuori, sul pianoro sabbioso, all’aria aperta, o, meglio, in acque aperte, il senso di claustrofobia e di costrizione scompare come d’incanto. Si recupera la mobilità, si riacquista il gusto alla libertà, allo spazio, alla visibilità. E d’improvviso, in quel momento di relax e distensione, cinque delfini tursiopi si affacciano dall’alto, guardano curiosi a testa in giù. Sono lì, ad una decina di metri di distanza. Sono loro che osservano i subacquei, fanno snorkelling e vedono strane creature marine che espellono bolle. Lanciano gridolini, tutti contenti della loro scoperta. Peccato non poter essergli più vicini. Si sa, è la classica situazione che si ripete. Quando si ha un avvistamento sott’acqua, si valutano due cose: la grandezza e la vicinanza. E la gioia dell’incontro si accompagna spesso alla frustrazione di non averlo avuto più ravvicinato. Pazienza, sarà per un’altra volta. Pazienza sì, ma un’altra volta no! All’improvviso, inaspettatamente, sorprendentemente, incredibilmente, un delfino si stacca dal gruppo, scende in picchiata di corsa e si piazza davanti alla faccia degli attoniti subacquei contorcendosi, giocandoci, danzandogli intorno. Emette vocalizzi acuti e ridanciani, comunica la sua allegria quasi a voler coinvolgere i fortunati presenti in un girotondo vorticoso ed entusiasmante. Poi, dopo aver soddisfatto la sua curiosità, risale e si riunisce al gruppo. Che meraviglia.
Si guadagna la superficie ancora increduli, in uno stato di trance, soverchiati da tale e tanta fortuna. Lezione per gli scettici, per chi non ci crede, per tutti coloro che eliminano il più possibile l’imprevisto dalle loro esistenze, come se fosse una maledizione. Premio per gli ottimisti, per chi ci crede, per tutti coloro che aggiungono il più possibile l’imprevisto alle loro esistenze come se fosse una benedizione. Come se fosse un delfino tursiope che gli si para davanti per coinvolgerli nel rutilante gioco della vita. E non finisce qui. Una volta risaliti, dalla barca mani concitate indicano il mare. I delfini sono lì, a pochi metri. E così, sempre quelli dell’imprevisto, quelli che non vivono la vita come una serie pianificata di scadenze ed abitudini, invece di seguire il suono della campanella che chiama per il pranzo, si lanciano all’inseguimento dei delfini, che adesso sono quattro. Si muovono dal basso in alto per raggiungere la superficie e respirare, due maschi e una femmina con la pinna pettorale a cui è attaccato il suo piccolo. Lo porta per mano, gli insegna il nuoto, lo accompagna a respirare. E’ una scena struggente, la commozione dilaga, ottunde la mente. Si perdono tutte le coordinate, si violano tutte le regole. Si segue i delfini sopra e sotto, con le bombole ormai vuote, senza più preoccuparsi di soste di decompressione, di tabelle e algoritmi, in una totale assoluta follia di passione che gonfia il cuore di emozione e annulla la ragione in una apoteosi di sentimento. E poi continua, continua per ore, in snorkelling, faccia a faccia con i tursiopi che sembrano essersi affezionati ai loro immeritevoli ed umili ammiratori, rapiti dalla loro stupefacente bellezza.
Chiedimi se sono felice. La vita è fatta di attimi brevi, fuggenti, irripetibili. Quando si racconta del proprio vissuto, si pesca dalla memoria il ricordo di momenti, di episodi isolati, che si sono stagliati nella mente per sempre. Momenti di pura felicità che fanno una vita intera.
E così era accaduto anche nei giorni precedenti a St. John, dove ci si immerge affabulati dall’ammaliante semantica dei nomi arabi. Umm El Aruk, la madre dei pinnacoli, arredata da un sontuoso tappeto di anemoni dalle tonalità brillanti, appare come la nursery di piccoli e grandi pesci pagliaccio, soggetto privilegiato di scatti fotografici iridescenti. Abili Ali, reef sottomarino che non emerge, parete che sprofonda allungando nel blu i rami di gigantesche gorgonie come una foresta lussureggiante. Per ultimo, lo spettacolare sito chiamato Abili Gaafar, cappello corallino che non affiora, dove miriadi di anthias color del fuoco incendiano l’azzurro del mare come scintille che si sprigionano disordinate e luminose. Ovunque alcionari dalle mille sfumature del rosso, del violetto, dell’indaco, allegoria della scala cromatica dell’arcobaleno. Un labirinto di madrepore abbaglianti, sfumature fulgenti schizzate dalla tavolozza del pittore che dipinge le profondità sommerse di un Mar Rosso unico e universale. Un polpo allunga i tentacoli, si guarda intorno e si trasforma, cangiante e metamorfico, alla ricerca dell’anfratto più accogliente. Durante la decompressione una tartaruga si stacca dalla barriera brulicante di vita, raggiunge la superficie a respirare e si immerge a testa in giù con il carapace inondato di luce. Lo colora di oro rilucente e lo trasforma in una palla luminosa che abbaglia la vista.

L’imbarcazione riprende la navigazione e ormeggia nei pressi di Sha’ab Mahrus, colonna corallifera che si staglia dagli abissi. Uno squalo pinna bianca di barriera incrocia la rotta dei subacquei, tranquillo, lento, indolente. Strano, perché alle sue spalle appare in lontananza un altro esemplare della stessa razza, ma agitato, veloce, frenetico. Gira diverse volte in circolo, doppia l’angolo della parete, scompare e riappare. E’ uno squalo grigio, dalla stazza imponente, probabilmente intento nella strategia di caccia della preda o nel godimento del trattamento di bellezza della stazione di pulizia. E’ una sfida, un gioco di rimandi, ha qualcosa a che vedere con la provocazione amorosa. Sembra dire: mi segui o non mi segui? Sono qui, raggiungimi, prendimi! E i più ingenui, i più incauti cedono alla lusinga dei sensi e si catapultano a tutta velocità per raggiungere l’oggetto agognato, che si fa desiderare, che si fa inseguire. Ma al primo cenno di adescamento, il Carcharhinus plumbeus si dilegua, beffardo e sornione, lasciando l’inseguitore con un palmo di naso e per di più deriso e additato dagli altri al pubblico ludibrio. La gogna non si prolunga se non per un breve lasso di tempo, il tempo di perdonare un atto impulsivo e inopportuno, dettato però dalla passione, da quell’intrattabile amoroso che spinge l’animo umano a perdere il lume della ragione.
Il riscatto non tarderà ad arrivare. Si è alla fine della settimana. L’itinerario, questo vincolo già violato in partenza, si ripropone con forza all’arrivo. Dove svolgere le ultime immersioni di questa imprevedibile crociera? Il gruppo si divide, di nuovo. C’è chi vuole a tutti i costi seguire la tabella di marcia prevista e chi propone una deviazione, un cambio di destinazione in corso d’opera. E’ già stato fatto e ha portato solo sensazionalità. Ha regalato incontri insperati, straordinari, magnifici. Perché non assecondare il destino, seguire l’onda e rischiare ancora? C’è la possibilità di avere un altro raro, prezioso, prodigioso avvistamento. E’ difficile, è quasi impossibile, le statistiche tutte lo escludono, ma perché non provare? La fortuna arride agli audaci, mai lasciare niente di intentato. Con un fenomenale colpo di scena, il comandante si dichiara disponibile e offre alla ciurma un regalo munifico: ultima giornata da trascorrere alla mitica Elphistone Reef con sosta in tarda mattinata a Marsa Mubarak. Quei pochi mugugni di disapprovazione cedono il posto all’entusiasmo riconoscente per un uomo che, insieme alle guide sensibili e professionali della barca, ha voluto accontentare un gruppo di clienti sui generis, un po’ sbandati, un po’ disorganizzati, ma ricchi di allegria e disposti a cimentarsi con l’improbabile.
La punta sud del plateau più famoso al mondo mostra l’arco dalla profondità impronunciabile, leggenda di ogni subacqueo. L’acqua è di vetro, le correnti sono assenti. Solo l’eccessivo affollamento di masse informi e scomposte di turisti della domenica disturbano questo paradiso sottomarino, che soffre dell’eccesso di commercializzazione. Lo stesso appare come preavviso di sfratto nella splendida baia di Marsa Mubarak, a pochi metri da Port Ghalib. Una distesa infinita di barche da crociera è ormeggiata a ridosso del litorale soffocato dai resort all inclusive in continua costruzione. Sull’Aldebaran regna la confusione. Si va in acqua con le bombole o in apnea? Dubbio amletico, dubbio atroce. Qui non si può sbagliare. Qual è il metodo migliore, quale sarà la giusta strategia? Ancora una volta l’esperienza delle guide viene in soccorso. Bisogna provare in snorkelling, leggeri, solo con pinne e maschera. E così sia. Sono in pochi quelli che decidono di osare, di provarci. L’importante è crederci, pensa se c’è davvero! Salgono sul gommone, tesi, nervosi, speranzosi. Alla vista di un assembramento di gente intenta a guardare con la faccia riversa nell’acqua turchina, scendono silenziosi, in un mutismo scaramantico. Una tartaruga oceanica si libra leggiadra. E’ lì che si nutre, addenta enormi diafane meduse della trasparenza dei petali di viola. E’ circondata da mille presenze che l’ammirano, la coccolano, l’accarezzano non rendendosi conto di soffocarla, soffocarla di troppo affetto. Ci si allontana, per rispetto, si riprende il gommone e si giunge in una specchio della laguna dove c’è un solo natante. Nessun altro. I due capitani si guardano, gesticolano, si scambiano informazioni in un linguaggio cifrato, ma semplice, chiaro, evidente. Puntano il dito nell’acqua. Un tuffo al cuore.
Ci immergiamo nel punto esatto indicato, dritti, verticali, in apnea. Lui è lì, disteso su un giardino di posidonia, che bruca l’erba, tutto intento a sbuffare la sabbia per filtrare le piante marine. E’ tranquillo, pacioso, non si accorge delle nostre presenze, discrete, silenziose. Il silenzio dell’emozione. Si fa fotografare, si fa ammirare, dolce, morbido, con la sua splendida coda a sirena. La sirena dei mari. E’ lì, a discapito di tutto, della sconfortante previsione che lo condanna ad un tragico destino d’estinzione. E’ lì, a discapito di tutti, incurante della folla irrispettosa che ha violato il suo territorio con un’invasione presuntuosa. La notizia si sparge nella baia in un batter d’occhio. Barche di tutte le dimensioni si dirigono a tutto gas verso il luogo d’elezione. In quel momento, e solo in quel momento, allarmato dal rumore del motore che tante volte gli ha graffiato il dorso lasciandogli cicatrici indelebili sulla pelle dorata, il dugongo scatta, nuota sinuoso verso la superficie, emerge con le narici a respirare e si allontana con un colpo di pinna caudale che ha l’eleganza del delfino e la movenza del lamantino. Che meraviglia.
Lezione per gli scettici, per chi non ci crede, per tutti coloro che eliminano il più possibile l’imprevisto dalle loro esistenze, come se fosse una maledizione. Premio per gli ottimisti, per chi ci crede, per tutti coloro che aggiungono il più possibile l’imprevisto alle loro esistenze come se fosse una benedizione. Come se fosse un dugongo che gli appare a sorpresa per coinvolgerli nel rutilante gioco della vita.
La crociera a Zabargad, Rocky Island e St. John si congeda così, tra i sorrisi di gioia, le lacrime di riconoscenza e lo stupore ancora incredulo per quello che questo luogo del mondo ha regalato a tutti coloro che gli hanno dato fiducia e che l’hanno amato.
Eravamo partiti per le Indie e abbiamo scoperto l’America, nelle sembianze di un Mar Rosso di passione, di emozione, di commozione. Un Mar Rosso costellato di momenti di pura felicità, che si staglieranno per sempre nella nostra mente e nel nostro cuore.

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