Materiali da North Sulawesi

::Luglio 2019::

North Sulawesi– Indonesia

Lembeh Strait – Tangkoko Nature Reserve – Pulau Bangka

In itinere

In itinere, il North Sulawesi si presta perfettamente al viaggio itinerante, per la conformazione geografica dell’isola, per la straordinaria capacità degli indonesiani di rendere semplice anche il più problematico degli spostamenti, sempre con il sorriso, con la pazienza e soprattutto con filosofia.
L’isola di Sulawesi non è soltanto Bunaken, la più famosa ma anche la più turisticamente sfruttata. Il North Sulawesi ospita tre gioielli di unicità planetaria: lo Stretto di Lembeh, dimora delle “muck dive”, il luogo dove le più strane e bizzarre creature vivono in simbiosi con la sabbia nera del fondale, il regno incontrastato della macro, unico al mondo per varietà e rarità di specie; la Riserva Naturale di Tangkoko, una foresta pluviale che ospita specie esclusive, come il tarsio spettro, il più piccolo primate del pianeta, il macaco nero crestato, un magnifico esemplare di cercopiteco endemico e il cuscus orsino, una sorta di opossum arboricolo, un marsupiale che somiglia ad un orso; infine Pulau Bangka, un’isola dalla natura selvaggia, contornata di mangrovie, coperta di foreste, abitata da animali primordiali come i varani sulla terraferma e da cefalopodi e octopodi dalle strane forme e dai colori fiammeggianti sul sottofondo marino.
Attraverso il North Sulawesi in taxi dall’aeroporto di Manado a Bitung. Ecco l’Indonesia, con i suoi volti dolci e sorridenti, con i suoi temperamenti miti e tolleranti. C’è la barca di Divers Lodge Lembeh che mi aspetta al porto. La traversata dello Stretto è sorprendentemente agitata. Il vento soffia furioso, le onde s’increspano. E’ la fine di giugno e luglio si suppone debba essere l’inizio della stagione ventilata, con il picco che si tocca ad agosto, quando è difficile raggiungere i siti d’immersione più lontani a causa del moto ondoso. Che sfortuna! Ho prenotato qui tre notti e due giorni full immersion, cinque immersioni diurne e una notturna, e mi prende il panico, ho il terrore che con questo vento non riuscirò a farne neanche una. Non ho fatto i conti con i padroni di casa, gli indonesiani, navigatori per elezione e per antico sapere.

Salgo sulla barca che miracolosamente si destreggia tra le onde con inusitata leggiadria, m’immergo per ben sei volte, trascorrendo le soste di superficie comodamente rilassata a poppa, servita e riverita con tè, biscotti e frutta. E il mare, il mare! E’ un mondo incantato quello che mi si spalanca davanti agli occhi. Un mondo abitato da creature immaginifiche, gnomi e folletti che sbucano come d’incanto dalla rena nera di un fondale oceanico ombroso. Ma lo illuminano, brillanti, lo smuovono, striscianti. Il mimic octopus che s’improvvisa mollusco o granchio, medusa o sogliola contorcendosi, accavallandosi e intersecandosi, muove i suoi tentacoli con l’agilità di un serpente a sette teste. Il wunderpus lo imita, ma i suoi colori sgargianti lo sopraffanno, lo superano in un turbinio di giravolte e languidi strascichii da far perdere la testa. Wunderpus, meraviglia. Gli ammiccamenti amorosi dei mandarin fish, con il loro mantello dai colori densi, saturi come quelli di un tappeto persiano. Si spostano a scatti, nascondendosi tra le rocce, ti guardano di traverso, furtivi, con il loro occhio profondo, nero, sguardo indagatore, penetrante. E il reef big fins quid che di notte si accende come un candelotto pirotecnico non appena illuminato dalla torcia. Si lancia verso l’alto, sembra un alieno nella stratosfera, un essere gelatinoso e fosforescente nel buio di tenebra di un cielo stellato. Ma no, non è il cielo, è il mare, nero, pieno di elfi, fate e folletti. Tutte le declinazioni dei frogfish, l’hairy, scapigliato e barbuto, il warty, bitorzoluto e gibboso, il giant, mimetizzato e mostruoso, il clown, vestito come un pagliaccio. I pigmy e common seahorses, dai colori pastello, i pois, i viola, i rossi e i gialli abbaglianti. Il microscopico e letale blue ringed octopus, ipnotico, ipnotizzante quando salta da un corallo all’altro con un’agilità felpata e ingannatrice, lo sai ma lo insegui con gli occhi, abbacinato dai suoi maledettamente attraenti anelli blu. E il golden cuttlefish vibra luminescente, sprigiona i suoi riflessi dorati, arrossisce, si accende come una lampada dai roventi colori cangianti, brillanti, accecanti. E’ lo stargazer, il pesce prete, il sognatore, che si incarica di congedarci puntandoci minaccioso, da sotto una coltre di ghiaia nera, con i suoi occhi sporgenti e la bocca digrignante piena di denti affilati esposti in bella mostra. Un vero mostro!

In itinere, il viaggio itinerante lascia il mare e prosegue verso l’interno. Mi alzo alle quattro del mattino, la visita alla Riserva Naturale di Tangkoko deve svolgersi alle prime luci del giorno, quando gli animali diurni sono più attivi, o, in alternativa, all’ora del crepuscolo, quando quelli notturni si destano per dare inizio alla caccia. La foresta è lussureggiante, silenziosa. Il sottobosco scricchiola ma è sulle cime più alte di maestosi alberi secolari che si appollaiano i suoi abitanti. Il becco maestoso del knobbed hornbill rompe il monocromatismo verde delle foglie e lo schizza di giallo e rosso scarlatto. Il bear cuscus reclina la sua testolina da orsetto. Osserva curioso, è in guardia, anche dall’alto della sua posizione dominante dal tetto della selva rigogliosa.
E’ nel tronco cavo dell’albero gigante di ficus che il tarsier riposa dopo le fatiche della notte. Si affaccia alla finestra, con le orecchie rosse raddrizzate e gli occhioni stropicciati, come da un risveglio forzato. Non è solo, ha con sé il suo cucciolo, ancora disorientato. Si aggrappa alla mamma con le zampette a ventosa e le dita a pallette. Maki folletto lo chiamano, sembra uscito da una fiaba di Andersen, piccolo e buffo, ma così teneramente dolce, anello di congiunzione tra il lemure proscimmia e il primate scimmia. Che qui è degnamente rappresentato dallo splendido esemplare del Sulawesi crested black macaque che, lungi dall’essere intimorito dalla presenza umana, si piazza sul muretto che delimita il confine con la casa circondariale dei rangers e con fare spavaldo e provocatorio, spalanca la bocca rossa e cavernicola in uno sbadiglio sprezzante e sfrontato.
In itinere, si riparte, si torna sulla costa. Dall’altra parte, Pantai Surabaya, spiaggia di sabbia bianca, lunga, essenziale. Si vede, è lì di fronte l’isola di Bangka e la barca dei Nomad Divers sta attraversando quel breve tratto di mare per venire a prendermi. All’improvviso un acquazzone torrenziale inonda tutto, annebbia la visuale, ma l’equipaggio riesce a portare stoicamente il natante a riva. Salgo e mi avventuro verso l’ultima tappa del mio viaggio itinerante in North Sulawesi.
Pulau Bangka. In questa insenatura contornata dalle mangrovie, dove si cammina in mezzo alle radici puntute in bassa marea, dove gli aironi passeggiano austeri piegando impettiti le lunghe zampe da trampolieri, dove il martin pescatore, appollaiato sui pali di legno, osserva il fondale in trasparenza, pronto a ghermire le prede tradite dall’acqua cristallina, m’inerpico per il sentiero che s’inoltra nella foresta fitta. Il varano mi attraversa la strada, veloce. Guardo in alto. E’ lì il mio bungalow, immerso nel verde. La mia casa nel bosco. Mi accomodo sul terrazzo e ascolto i suoni, i richiami, i fischi. Uno è acuto, ritmato. E’ giunta la sera, aguzzo la vista e lo vedo. E’ lì, mi osserva, è piazzato sul ramo dell’albero di fronte a me. Spalanca i suoi occhioni enormi, mi fissa. Il tarsio vive qui, con me, nel mio bungalow nella giungla. Incredibile.
Incredibile è anche quello che mi raccontano alcuni ragazzi armati di fucili improvvisati, pare che vadano a caccia di varani per mangiarne le carni commestibili. Mi raccontano che dal pontile del Mimpi Indah di mattina presto vedono il dugongo avvicinarsi al bagnasciuga per nutrirsi delle alghe che tappezzano il fondo sabbioso. Ma c’è davvero? Lo cerco tutti i giorni sott’acqua, sui pendii di rena bianca, frugando tra le foglie di posidonia, osservando le buche sul fondale, quelle che le blue spotted stingray creano muovendosi compulsivamente alla ricerca di critters. E li vedo i critters, tutti. Scovo il long arms octopus, viscido e molle che si sfila come una biscia; immortalo i colori luminescenti del flamboyant cuttlefish, piccolo e magnifico, con i suoi tentacoli purpurei, che sprigionano caldi cromatismi cangianti; m’imbatto nella buffa e arruffata Rhinopias frondosa, spettacolare con le sue variopinte escrescenze cutanee che la rendono una vera opera d’arte; inseguo il flying gunard che sorvola la sabbia dispiegando le sue ali multicolori e condividendo il territorio con l’occhiuto flounder, la sogliola pavonina maestra indiscussa del camouflage; e infine m’incanto ad osservare il broadclub cuttlefish, fermo immobile a dieci centimetri dalla mia maschera, resta sospeso a mezz’acqua muovendo leggiadramente le sue pinne ondulate e apparendo con diversi mantelli che si trasformano in metamorfosi cromatiche. Del dugongo neanche l’ombra, forse non è stagione, forse non è destino, ma si sa, è un mammifero timido e schivo.
Ma il destino non ha certo lesinato durante questo viaggio itinerante prodigo di prodigi, qui in itinere, nel North Sulawesi.

Paola Ottaviano

 

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