Materiali da Isla de Malpelo


::Febbraio 2015::

Colombia - Isla de Malpelo
La Dea Madre degli Oceani

Era da un po' che mi gironzolava in testa. Avevo voglia di un nuovo viaggio, una destinazione fuori dagli schemi, sconosciuta, lontana, praticamente irraggiungibile. Mi agitavo, mi barcamenavo nelle faccende di ogni giorno inquieta, insofferente, incontinente. Non mi contenevo più, avevo la scimmia sulla schiena. Ero in piena crisi d'astinenza, avevo bisogno di una dose d'avventura, di una dose di follia, di una dose di sfida. Dovevo sfidare il mondo, sfidare me stessa, mi serviva una lotta, un obiettivo per cui combattere. E vincere, per non essere sconfitta dall'inedia. E vivere, per non morire di noia.
Tornai a casa una sera dopo il lavoro. Mia nipote sarebbe partita di lì a poco per il Giappone. Giappone, che meta affascinante! Un viaggio. Mi salì come un acido, prepotente, devastante. Persi il controllo. C'era su Internet una promozione last minute di un Tour Operator italiano con destino Malpelo. Sarebbe meglio dire un last second, considerato che la data di partenza era fissata per il giorno successivo. Scrissi per sapere se ci fosse ancora posto. Sono quelle cose che si fanno così, per sfizio, per inerzia. Figuriamoci se c'è la benché minima possibilità di organizzare una sorta di viaggio del genere in appena ventiquattro ore. Impossibile.
Se avevo bisogno di sorprendermi, non ci fu sorpresa più grande che ricevere la chiamata dell'agenzia che mi diceva che c'era ancora posto, una cabina ancora libera sulla barca, ma che avrei dovuto decidere entro un minuto. Non ci credeva neanche lei, la volitiva signora Vanna di Aquadiving, era incredula almeno quanto me. Che rimasi inebetita per alcuni secondi. L'avevo fatto per scherzo, per emozionarmi un po', in una sorta di autoerotismo che mi aveva dato una botta di piacere, una scossa di adrenalina. E invece mi si prospettava la possibilità reale di fare l'amore sul serio e di godere delle endorfine, gli ormoni della felicità, che si sprigionano dopo un'intensa e divertente attività fisica. In questo caso le immersioni nel posto più sperduto e selvaggio del pianeta.

Mi passò per la mente in meno di dieci secondi tutto quello che mi serviva sapere: impegni, appuntamenti, attrezzatura subacquea, soldi e passaporto. Era tutto a posto. Risposi sì all'undicesimo secondo. Non era passato neanche un minuto. Stavo facendo una pazzia, mi stavo iniettando la mia bella dose di follia.

La mattina seguente il taxi mi aspettava sotto casa alle cinque, in piena notte. Presi posto, sognante e frastornata, sullo stretto sedile di fianco al finestrino dell'Airbus dell'Iberia che mi portava a Panamá. Stavo andando alla ventura, da sola, in uno degli ultimi santuari degli squali di tutto il mondo.

Vedere il cartello con il mio nome agli arrivi internazionali dell'aeroporto di Ciudad de Panamá mi trasmise un senso di rassicurazione. Vedere la sontuosa stanza dell'hotel, così comoda e ridondante, mi provocò un senso d'ilarità. Mi stesi sul letto a due piazze ad allungare la schiena e le gambe, dopo undici ore di errata postura e di circolazione interrotta da aeroplano, socchiusi gli occhi e scivolai in un sonno profondo da fuso orario. Il sonno dei giusti.
Il giorno seguente si presentò terso e caldo. Pensare che in Italia era il tempo della neve.
Gironzolai per la città, a scattare qualche foto e a curiosare nei negozi. Un Panama bianco originale finì ripiegato nella sua bella scatola di legno intarsiato. Mi cimentavo nella lingua spagnola, incantata dall'accento e dalla gentilezza dei panameñi. Il traffico s'ingorgava, tutti suonavano il clacson, ma nessuno inveiva in preda alla nevrosi da fretta, quella che intasa le nostre civili città europee dominate dalla furia cinica e barbara della prevaricazione competitiva e liberista. No, lì, a Ciudad de Panamá, sorridevano tutti, parlandosi addosso concitatamente, con quella comunicazione parossistica allegra ed epidermica che ti trasmette calore e ti mette di buon umore. Sto recuperando il senso di umanità, pensai, e voglio farmi contagiare per perdere l'abitudine ai ritmi isterici e sprezzanti che sono diventati ormai, e tristemente, la nostra normalità.
Con questo spirito gagliardo, rientrai in hotel dove si erano radunati i miei futuri compagni di crociera e i responsabili di Coiba Dive Expeditions, l'agenzia che organizza la spedizione subacquea. E' il momento dell'appello. I tredici partecipanti provengono tutti da nazioni diverse: Korea, USA, Inghilterra, Germania, Austria, Svizzera, Spagna e Panamá. Io sono l'unica italiana. Ma l'anima latina è ampiamente rappresentata dall'equipaggio, il cuoco cubano che cucina italiano, il macchinista nicaraguense che critica i sandinisti provocando la mia reazione sdegnata che si traduce in lunghe discussioni in lingua originale, fino ai lancheros panameñi e lo steward tico, costaricense. Il vessillo nazionale è sventolato onorevolmente dall'unico colombiano, Juan, il divemaster che s'incarica di mostrare orgogliosamente la straordinarietà dell'isola di Malpelo, la sua isola. Perché Malpelo, che si raggiunge da Panamá dopo trentacinque ore di navigazione, è in acque territoriali colombiane e appartiene alla Colombia.
E così, dopo aver percorso in autobus le quattro ore che separano Panama City da Puerto Mutis, con sosta di rifornimento alcolico al supermercato per viziarci sulla barca, non sapendo che sarebbe stata la barca a viziare noi, una lancia veloce attraversa canali di mangrovie spettacolari per condurci a bordo di quella che sarà la nostra casa nei prossimi dodici giorni, il M/V Yemaya, la Dea Madre degli Oceani, secondo la tradizione afro-caraibica degli Yoruba.

Le cabine vengono assegnate, ma io sono già sul ponte a guardare il mare. La partenza ha tutta la magia dell'avventura. E' un momento unico e irripetibile, è l'incognito e l'emozione, è il sogno e la trepidazione. I sentimenti più disparati si esprimono nel momento in cui la nave salpa, momento che racchiude in sé tutta la genesi del viaggiatore in rotta verso mete sconosciute.
L'Oceano Pacifico si distende, placido e bonario, sotto i raggi di una luna piena che accende luminosa la scia della navigazione. Increspa il mare di spuma briosa come in un brindisi augurale traboccante di allegria festosa. Le acque di confine tra Panamá e Colombia si confondono, si mischiano fino a non riconoscersi più come appartenenti a due diverse nazioni, ma così è, tanto da aver lasciato in ostaggio alla dogana, nel porto di partenza, il proprio passaporto e aver mostrato il contenuto delle valigie agli addetti colombiani di controllo. Solo per un breve intervallo di tempo, durante la notte, le onde si alzano costringendo i naviganti ad un risveglio agitato dallo scivolio del corpo sul materasso, presto seguito da un assopimento cullato in un dondolio cantilenante come una dolce ninna nanna.
Due notti e un giorno. Un giorno e due notti. Sulla barca si tessono relazioni, si crea atmosfera, si definiscono affiatamenti, si marcano distanze. E' il microcosmo di un vissuto comune, è la fase dell'adattamento e della conoscenza, con tutte le dinamiche di un'istituzione totale.
Malpelo si staglia imponente e scoscesa nel mezzo del nulla. Una mastodontica formazione rocciosa di origine vulcanica, nuda, pelata, istoriata dal vento e dall'acqua di incisioni intarsiate. Ghost Face, La Cara del Fantasma, è un ghigno sardonico il volto impresso sulla parete della montagna. Sembra voluto, studiato dallo scultore, ma sono state le forze della natura a scolpirlo.
L'abbiamo sognato, l'abbiamo desiderato, l'abbiamo agognato. Il momento di scendere è arrivato. Scendere in acqua, immergersi, perché è impossibile scendere a terra. Ma noi siamo qui per incontrare gli abitanti degli abissi marini, con l'emozione e la trepidazione di un'aspettativa febbricitante, urgente, incontenibile. Malpelo, il regno indiscusso degli squali martello, la dimora del Monstruo, l'Odontaspis Ferox, anche se questa volta non si fa vedere. El Altar de Virginia, l'altare di questo santuario sacro e inviolato, è scelto come primo luogo d'elezione. E' il battesimo del mare. Sembrano impazienti di accoglierci. E' come se ci aspettassero, da sempre. Vogliono mostrarci orgogliosi la loro dimora esclusiva, tutelata, protetta. Ce l'hanno fatta, sono riusciti a tenersela questa casa lontana, inaccessibile, privata, l'hanno conquistata, l'hanno conservata a discapito di tutte le minacce e di tutti i pericoli. Hanno vinto la loro battaglia per la sopravvivenza. Ci girano intorno, eccitati, scattanti, irruenti. Ci girano intorno, caracollando come una ruota della fortuna. E che fortuna! Ci girano intorno a otto metri di profondità, appena otto metri. Incredibile. Sono dieci, sono quindici, piccoli, grandi, medi squali martello smerlati, curiosi, ritrosi, ammiccanti. E l'istantanea di un primo piano dell'occhio che osserva furtivo dall'angolo della testa bitorzoluta immortala l'essenza di questo luogo irripetibile del mondo, pietra filosofale della genealogia del mondo sommerso. E non mi formalizzo se non riesco a gonfiare il pedagno nella prova generale del check dive, rimediando il commento finto bonario e sottilmente derisorio dei subacquei supertecnici del gruppo, ammutoliti però subito dopo dalla mia audacia nel tornare giù, quando ero già alla fine della sosta di sicurezza, allorché un branco di sfirnidi era riapparso improvvisamente proprio sotto di noi. Loro, i supertecnici, avevano finito l'aria ed erano stati costretti a risalire. E neanche mi formalizzo per aver distrattamente fatto cadere in acqua la torcia e averla persa per sempre negli abissi di Malpelo in un momento di euforia e di eccitazione durante il quale avevo mollato tutti gli ormeggi dell'autocontrollo e dei freni inibitori. E' la differenza che passa tra la tecnica e la passione, è il tributo che si paga all'incoscienza e all'emozione. L'esuberanza spensierata ed entusiasta conquista l'equipaggio che mi attribuisce l'appellativo di Chica Yéyé! la chica della barca, oggetto di mille attenzioni e gentilezze.
Ci aggrappiamo alle rocce a La Nevera, The Fridge, per non farci trasportare dalla corrente. E per cogliere di sorpresa i predatori dell'Oceano che, non inseguiti, sbucano dal blu e si dirigono verso il fondale frastagliato a pattugliare i dintorni. Non si accorgono che qualcuno, nascosto dietro l'angolo, occultato dagli spunzoni di roccia basaltica, gli tende un agguato e li aspetta al varco. Gli planano sopra, a pochi centimetri di distanza. E' il premio all'immobilità, alla capacità di saper aspettare, fermi, pazienti, disciplinati. Squali martello che ti passano sulla testa, squali Galapagos che ti passano di lato e si arrampicano sul fianco scosceso della montagna sottomarina. Famiglie numerose di eleganti aquile di mare puntinate ti nuotano di fronte. Mamma, papà e piccoletti, in formazione geometrica ondeggiano nella corrente e t'incantano come una danza coreografata. Fiumi di carangidi, spirali di barracuda, centinaia di cernie marezzate dai colori brillanti attraversano l'acqua di vetro, tremula al passaggio del termoclino, raggelante. The Fridge, il frigorifero, di nome e di fatto. Ma che esplosione di vita! Affollata, famelica, prorompente. Murene fuori tana a decine, ovunque, s'intersecano, s'intrecciano, si svolgono come i nastri colorati delle atlete di ginnastica artistica.
E' febbraio, il mese più freddo. La tabella della stagionalità prevede la maggior presenza di squali martello, a fronte di quella di squali seta da maggio e di squali balena da giugno ad agosto. E' per questo che affrontiamo la titanica impresa dell'immersione nel blu a Sahara. Fondale di sabbia, bianco e disabitato come il deserto. La visibilità è scarsissima, non ci sono punti di riferimento. Si aspetta al gelo, si pinneggia alla cieca. All'improvviso appare come un miraggio. Un branco di squali martello irrompe dalla nebbia. Sono cento, tutti insieme, guadagnano la visuale, rompendo la cortina nebulosa. Sono lì, di fronte a noi, si aprono a raggiera, si riuniscono in gruppo, nuotano all'unisono. Spariscono, riappaiono. Attraversano il fondo sabbioso, sovrastano le nostre teste in silhouette. I computer tacciono, aiutati dalla durata garantita dal Nitrox che resiste un lasso di tempo che sembra infinito a venticinque metri di profondità. I computer tacciono, in segno di rispetto, si tacciono, deferenti, reverenti, prostrati. Malpelo magnifica la sua nomea, Malpelo munifica la fama che la precede. Malpelo, ultimo santuario delle creature più antiche del mondo, Malpelo protetta dalla pesca di frodo. Malpelo la calva, la pelata, la nuda custodisce in sé il tesoro più grande del creato. Laudato si', mi' Signore.
Torniamo in barca, storditi, estasiati, frastornati. Restiamo in silenzio. Li contiamo sulle foto. Centotre, sono centotre contati. Brindiamo, ridiamo, piangiamo, tutto insieme. Da quel momento diventiamo incontenibili, incontinenti, bulimici. Vogliamo di più, sempre di più. Vogliamo rivederli in ogni immersione. E così torniamo, torniamo sempre negli stessi posti, La Nevera - Sahara/ Sahara - La Nevera. Ma puntualmente, come accade nelle storie d'amore, perdiamo il coraggio di mollare quando siamo all'apice. Dimentichiamo che non bisogna mai forzare nel tentativo di allungare il momento magico dell'innamoramento. L'amore non va inseguito, inflazionato, sciupato. Nella ripetizione la passione scema. E non va neanche forzato il destino che ha i suoi canali privilegiati e misteriosi. Bisogna lasciarsi andare alla casualità e all'esperienza del divemaster, profondo conoscitore del posto.
Non ricapiterà più nei giorni successivi ed è proprio per questo che l'immersione dei 103 squali martello rimane un tòpos, un assoluto, un momento unico e straordinario. Un miracolo irripetibile, la pietra miliare di una vita da viaggiatore degli Oceani.
Nella TV Room il guardiaparco colombiano narra la storia dell'Area Protegida Isla de Malpelo, Santuario de Fauna y Flora Patrimonio de la Humanidad, orgoglioso della vittoria ottenuta nella lotta contro il bracconaggio della pesca illegale. E' anche per questo che la delusione è cocente la mattina in cui il gommone accelera a tutta birra verso un punto del mare dove decine di sule si lanciano come siluri fendendo la superficie. Un baitball! Una palla di pesci in migrazione! Non proprio, è solo una massa informe di rifiuti scaricati da chissà quale natante che la corrente ha trascinato per centinaia dei chilometri. L'unica contaminazione di questo luogo incontaminato che regala altre piccole, preziose amenità come due mobule in coppia, una tartaruga embricata e un raro squalo oceanico dalla punta nera.

La notte, affacciati alla balaustra del ponte, le torce illuminano il mare che ribolle di pesci in caccia. La sagoma degli squali si riflette nel buio irradiato dalla luna. Solcano l'acqua tagliandola con la pinna dorsale che fende la superficie. Anche loro sono in caccia. Cacciano e non sono cacciati, mostrano le pinne saldamente attaccate al loro corpo sinuoso che, almeno per questa volta, non galleggiano tristemente dentro un'insipida zuppa per ricchi insipienti come inutili trofei di un demenziale e criminale status symbol.
La sula scende planando e atterra tra i tavoli imbanditi, zampetta disorientata tra il divertimento e l'ilarità generale. Ha perso la strada o forse si compiace di tanta attenzione. Il cielo si apre, dopo l'unico acquazzone temporalesco che ha inondato le pendici senza vegetazione dell'Isola di Malpelo, creando cascate rigogliose che solcano le vene della montagna e precipitano a mare fragorose. Si parte per la traversata di ritorno verso la terraferma. L'Oceano Pacifico è placido e bonario, il sole accompagna come un faro i naviganti stesi sui lettini e li scalda di un saluto lungo, cullato, dondolato. E i delfini comuni fanno capolino per la prima volta saltando sulla scia spumosa dell'acqua per l'ultimo saluto rituale in rappresentanza di tutti gli abitanti marini di questo luogo speciale del mondo. Unico, irripetibile. Indimenticabile.

 

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