Materiali dall'Australia


::Estate 2012::

Western Australia

Wilderness

All’imbrunire, un canguro sbuca all’improvviso dal bush e investe in pieno l’auto che percorre lentamente la stradina di terra rossa che s’inerpica nel cuore della foresta.

Prontezza di riflessi, frenata che fa scivolare le ruote sul fondo sabbioso. Il canguro è disorientato dai fari, non capisce da che parte girare, da che lato della strada saltare. Resta un attimo immobilizzato, inebetito. Poi, con un colpo di reni, vira a novanta gradi e guadagna la sopravvivenza con due balzi veloci. Sparisce nella boscaglia, salvo.
I margini delle piste sterrate dei parchi nazionali del Western Australia sono il teatro della vita selvaggia di una natura incontrastata, lasciata ai suoi ritmi, ai suoi tempi, ai suoi modi. Stray Animals Next 130 km, Be Wildlife Wise. Cartelli stradali gialli, con il disegno di canguri, emu, bilbies, avvisano i viaggiatori curiosi e li invitano alla cautela. Troppi sono i tristi avvistamenti di esemplari morti sul ciglio della strada, travolti e investiti da caravan e veicoli a quattro ruote motrici, a volte incolpevolmente, ma più spesso a causa della noncuranza, della poca attenzione e soprattutto della velocità eccessiva. E’ una lotta impari, senza storia. I fuoristrada sono dotati di paracanguri metallici che scaraventato al suolo i poveri malcapitati senza pietà. Dovrebbero loro, questi splendidi marsupiali, essere attrezzati di paramacchine per ammortizzare l’impatto fatale. Una strage degli innocenti, che coinvolge la fauna selvatica e quella domestica allo stesso modo. Rettili, uccelli, mucche e pecore. Gli spazzini del cielo si accollano l’onere di smaltirne i residui, nell’eterno ciclo della natura di vita e di morte. Aquile, corvi e gheppi assalgono le carcasse in decomposizione, strappano brandelli di carne per cibarsene e nutrire i piccoli nei nidi vicini. Chini sulla preda, sul ciglio della strada, osservano guardinghi, vigili, pronti a spiccare il volo al minimo rumore. Così come i canguri rossi e i wallaroo, che drizzano le orecchie, alzano la testa e guardano dritti negli occhi, mimetizzati dai cespugli bassi o sfrontatamente piazzati in mezzo alla strada, pronti a scappare a balzi alti ed atletici all’approssimarsi delle auto che percorrono boschi, foreste, radure come se fosse un safari. Dawn and dusk, la parola d’ordine, aurora e imbrunire, alba e tramonto. E’ in quest’ora magica che la natura si ridesta ed esce allo scoperto, prima della fatica del giorno, quando il sole sale allo zenit e non lascia tregua, e dopo il risveglio dal torpore, quando il sole digrada all’orizzonte e un salvifico refrigerio ridona le forze e l’energia per la caccia e il nutrimento.
Attraversata dal Tropico del Capricorno, a metà tra continente Australe e clima tropicale, l’estesa regione del Western Australia partecipa della natura di differenti poliedrici ecosistemi che si susseguono senza soluzione di continuità. A Sud Southern Ocean, implacabilmente battuto dai venti freddi che gonfiano il mare in inverno. Acqua che raggela, a mala pena la temperatura raggiunge i quindici gradi. E’ il periodo delle balene, megattere, australi e azzurre, che si avvicinano a riva. Breaching. Saltano fuori dall’acqua, imponenti, maestose. Si prendono gioco dei natanti, che cercano invano lo scatto perfetto e li ingannano puntualmente, apparendo e sparendo nei punti del mare che non ci si aspetta. Sulle vie dei canti, i canti delle balene.
Foreste rigogliose, lussureggianti, formate nel tempo da fitti alberi di karri, maestosi. Il sole filtra a fatica, creando giochi di luce nella penombra ombrosa del giorno impenetrabile. E poi World Heritage, Sanctuary Zone, Patrimonio dell’Umanità. Baie inaccessibili, che si ammirano da passerelle di legno costruite per la contemplazione. La bellezza dei colori del mare, che contrasta con le lingue di terra emersa, lascia attoniti, senza parole. E non si ha bisogno d’altro. Sarà per questo che gli australiani parcheggiano i loro caravan a ridosso delle spiagge, si accomodano sulle sedie ripiegabili da campo e guardano il mare. Non hanno bisogno d’altro.

Contrasti forti, definiti, senza sfumature, natura decisa, dominante, sicura di sé. Le prime forme di vita sulla terra respirano ancora. Gli stromatoliti emergono a pelo d’acqua con la bassa marea, microrganismi unicellulari, alghe calcaree che raccontano la storia del mondo. I delfini si avvicinano a riva alle cinque della sera. Cacciano compulsivamente. Si sente il loro respiro affannato. Si contorcono furiosamente a scandagliare il basso fondale, alla ricerca di critters e gamberetti, la loro cena. A riva. Al ritorno, una piccola palla rossa trotterella disinvolta e attraversa la strada con le sue zampette unghiate. Si porta trionfante addosso la sua splendida armatura di spine, che la difende dai predatori. L’echidna sfida le insidie, scava nella terra rossa e ci infila il suo naso allungato a suggere le formiche. E chi mai potrebbe minacciarne la sopravvivenza? Prima bisognerebbe scovarla, così mimetizzata! La sua arma vincente è la chiusura. Al minimo sentore di pericolo, si raggomitola, mette in salvo le sue molli parti vitali e diventa rovo di spine. E non c’è verso di stanarla. Gli emu sculettano, noncuranti, indolenti. Guardano il mondo dall’alto in basso, con sufficienza. Noblesse oblige! Ma non inganni l’andatura flemmatica e dinoccolata. Sono capaci di scatti improvvisi. Scartano un veicolo che li minaccia come consumati e abili centravanti che rubano la palla all’avversario. I piccoli li seguono sgambettando. Protetti dalla fitta boscaglia, non perdono di vista la matriarca, che li tiene sotto costante controllo.
Ma questo è il regno dei marsupiali e i piccoli di canguro si rifugiano nella tasca delle madri a velocità supersonica. Si tuffano con le zampe all’aria. Poi si girano per uscire con il loro faccino ad osservare il mondo. Al sicuro, caldo e protetto ventre materno. Meraviglia, stupore, interazione. L’opossum arriva di notte, nella casa nella foresta. Quando il buio avvolge la terra, si avvicina, furtivo. I suoi enormi occhi neri lo guidano nell’assenza di luci. Si muove silenzioso e guardingo. Si piazza sui rami degli alberi, e una volta sicuro della posizione irraggiungibile, guarda dritto negli occhi, con la testa reclinata, curioso. Il quokka non ha remore. Appena trova un pertugio, s’infila nella casa senza troppe cerimonie. Non teme niente e nessuno e non si cura affatto di non essere ospite gradito!
Ma al Tropico l’acqua si riscalda, gli abitanti del mare si palesano, anche qui senza troppe timidezze. Delfini e razze oceaniche a riva. La tartaruga percorre il litorale respirando in superficie. Squali toro, della specie tigre di sabbia, si materializzano sotto il molo e pattugliano il basso fondale. Nuotano lentamente, in circolo. Maestosi e potenti, non hanno bisogno di esibizione di forza. Sono loro la forza, la forza primordiale del predatore più antico del mondo, quello che è sopravvissuto ai dinosauri. Spartiscono il territorio con altre specie, pinna bianca e wobbegong, squali tappeto. E poi c’è lui, la leggenda di questo mare, Indian Ocean, l’oceano che incrocia la rotta di cetacei e squali balena, di mante e tartarughe Caretta caretta. La colonia più numerosa al mondo vive qui, conta più di 10000 esemplari. Un record per un mammifero marino a rischio d’estinzione, l’unico mammifero marino erbivoro. E allora bisogna cercare l’erba, le alghe, il sea grass per sperare di incontrarlo. Missione difficile, forse impossibile, ma come non tentare? Comincia così la ricerca spasmodica. Si battono a tappeto vaste aree, in snorkeling, resistendo alla temperatura che in inverno non supera i 20° - 22°. Voci si rincorrono su una sua apparizione a riva. Si scruta l’orizzonte, la superficie del mare che incontra il cielo. All’improvviso due narici che respirano, un dorso che emerge e s’immerge, di un chiaro color marrone. Salta tre volte di seguito. E’ lui! Di corsa in acqua, nella direzione identificata. Mezz’ora, un’ora, niente. Solo sabbia, erba sul fondale. Delusione, disincanto. Quando ormai si decide di uscire, un’ombra si materializza. La visibilità è scarsa, il sole a picco crea fasci di luce ingannevoli. Ma il movimento della coda è inconfondibile. Il dugongo fa la sua apparizione. Circospetto, parte da lontano, nuota velocissimo ma è curioso. Fa un cerchio intorno agli apneisti che hanno saputo aspettare, con pazienza, con perseveranza, con amore. Gli gira intorno, non rallenta. Ci si lancia all’inseguimento ma non è una buona idea. Perché lui accelera e scappa, si sente minacciato. La strategia va rivisitata. Bisogna farsi furbi, rallentare per preservarsi da una crisi respiratoria e al tempo stesso conquistare la sua fiducia. Sembra aver intuito le buone intenzioni. Incredibilmente il dugongo torna indietro, riappare e si rilassa. Sta lì, ad annusare il fondale in cerca dell’alga migliore. Nuota sinuoso come una sirena. Agile nonostante la sua stazza di 400 chili di peso. Sta lì, dolce, indifferente. Meraviglioso.
Il Western Australia è un luogo strabiliante del mondo. E’ wilderness senza mediazioni, senza intermediazioni. E’ natura selvaggia, pura, assoluta, totale.
Due otarde, eleganti e civettuole, attraversano la strada, come a salutare i viandanti che si sono spinti fin qui alla ricerca di un mondo perduto. Senza sapere che non avrebbero affatto trovato ciò che si aspettavano o si erano immaginati. Hanno trovato qualcosa di assolutamente non previsto né prevedibile. Hanno trovato un mondo naturale che vive di vita propria. Senza bisogno di commercializzazioni, di pubblicizzazioni. Una natura felice, che dà felicità, una natura stupefacente, che dà stupore. Hanno trovato il silenzio, rotto soltanto dai versi gioiosi dei cacatua dalla testa rosa, dai pappagalli dalla testa viola. Un mondo sorprendente, una wilderness, una naturalità che entra nell’anima e la nutre, nella sua semplicità assoluta.
E non c’è bisogno d’altro.
Paola Ottaviano

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