Materiali dal Sultanato dell'Oman


::Ottobre 2019::

Sultanato dell'Oman

L'eremita del Medio Oriente

Il Sultano c'è e la Regina di Saba pure. Il Medio Oriente e le sue atmosfere ammantate di mistero anche. L'Oman s’insinua nell'immaginario con tutte le sue valenze evocative di fascinazione e rapimento, rapimento di sensi. Imperscrutabile e inatteso, questo luogo del mondo elusivo ed evanescente ti avvolge nel silenzio, t’irretisce senza che tu ne abbia coscienza fino a quando non l'hai perso. E' solo allora che ne senti la mancanza, una mancanza che ha a che fare con il desiderio, con la voglia insopprimibile di rivederlo, di ritoccarlo, di riaverlo.
E' notte fonda quando atterro all'aeroporto internazionale di Muscat, la capitale. Non c'è nessuno ad aspettarmi, l'hotel si è dimenticato di mandarmi a prendere, o forse c'è stato un fraintendimento sull'orario, am pm. Qualcuno mi vede brancolare nel buio. Mi osserva. Poi, fattosi coraggio, si avvicina. Un gentile signore avvolto nella sua lunga veste bianca immacolata si offre di chiamare l'hotel con il suo cellulare. Nessuno risponde. Ringrazio, lui ringrazia, mi sorride timidamente. Esco. Prendo un taxi.
Raggiungo il Millenium Resort, in località Mussanah, che albeggia. Un tepore dalle sfumature del rosa antico avvolge questa cattedrale nel deserto. Il resort si erge maestoso in mezzo al nulla e circonda la baia con la sua tipica forma a ferro di cavallo. Alla reception un uomo, appena destato dal mio arrivo, mi assegna la camera, grande, lussuosa, affacciata sul versante interno. Non ho la visuale sul Golfo dell’Oman, ma dal mio balcone mi ritrovo tutti i pomeriggi alle cinque ad ammirare i tramonti omaniti, con la palla rossa del sole che lambisce la torre del minareto per poi adagiarsi sulla linea dell’orizzonte e confondersi con le luci che brillano tremule sulle rare case del villaggio. Un presepe mediorientale, se mai una tradizione così sia in qualche caso esistita in Medio Oriente.
Punto la sveglia per non perdere l’orario della colazione, dormo tre ore, tra dormi e veglia, è l’adrenalina, l’adrenalina dell’emozione, l’adrenalina dell’eccitazione che non mi fa riposare. Ma io non voglio riposare. Voglio vedere, conoscere, sapere tutto di questo posto così votato all’anonimato, così refrattario alle luci della ribalta, così poco avvezzo ai clamori della cronaca.
Governato per quasi cinquant’anni da Qabus Bin Al Said, sultano illuminato e molto amato appena scomparso, questo piccolo paese della penisola arabica si distingue per l’alta qualità della vita, per le innovative riforme sociali e per la neutralità mantenuta nel tempo, caratteristiche che gli hanno regalato prosperità e pace. Come da paese non allineato, il Sultanato dell’Oman ha sempre perseguito una politica di non belligeranza, svolgendo un ruolo di mediazione e di pacificazione, senza mai schierarsi, in una zona del mondo tra le più instabili e conflittuali del pianeta.
Schivo e riservato dunque. Ma anche poco avvezzo al turismo, in particolare ad una turista occidentale che viaggia da sola? Girando per il resort, prendendo accordi nel centro diving, visitando tutti gli altri luoghi di convivialità e di servizio, i locali si mostrano diffidenti, fanno fatica a salutare, mi guardano torvi. E’ la prima impressione, ma non ci metto molto a realizzare che, anche a livello sensoriale, la mia cultura mi ha indotto in errore, si è fatta condizionare dai soliti pregiudizi. E’ vero che gli uomini sono poco espansivi, ma non è escluso che ciò dipenda dalla timidezza, o forse anche da una sorta di maschilismo, che ad ogni buon conto ci sarà negli omaniti né più né meno che nei nostri civili e cristiani occidentali, anzi! Probabilmente sono questi ultimi che hanno meno rispetto per le donne di quanto esprimano i maschi incrociati durante la mia visita in Oman, dove nessuno di loro mi ha mai mancato di rispetto. Detto questo, le donne della reception mi consigliano di evitare di andare da sola al bar dove loro bevono alcolici di sera, di indossare indumenti decorosi se non sono stesa sul lettino in spiaggia, di tenere cioè comportamenti sobri e rispettosi della cultura locale. Ed è giusto così.

Finalmente il mattino seguente salgo sulla barca, direzione isole Daymaniyat. Il mare è una tavola, trasparente, cristallino, non un filo di vento, neanche un moto ondoso, le condizioni perfette. Quarantacinque minuti, scivoliamo sulla superficie dell’acqua che risplende dei raggi dorati del sole, e quando le prime terre emerse appaiono all’orizzonte, decine di delfini solcano i flutti formando una striscia ondulata di corpi in movimento. S’immergono e riemergono, saltano fuori dall’acqua, si lanciano, si piroettano sospesi nell’aria. Che emozione. Scruto l’orizzonte. Spettacolari creature i delfini, ma è altro che sogno, è altro che cerco. Tutti l’hanno visto qui, nella stagione giusta, ottobre. Ed è ottobre, prima che il divemaster m’informi che però quest’anno ha anticipato il suo passaggio di migrazione al mese di settembre. Doccia fredda.
Mi tuffo. Sono demoralizzata, ma non perdo la motivazione.
Il fondale omanita è avvolto da una luce verdastra che gli dona un che di opalescente. Nella nebulosa traslucida miriadi di meravigliose e bizzarre creature si muovono: coloratissimi nudibranchi strisciano sul fondo in fila indiana, gli uni attaccati agli altri; decine di seppie giganti allungano le loro protuberanze e le direzionano come proboscidi a tutelare l’individuo di appartenenza della coppia; le pastinache nere e le razze coda di vacca stazionano sulla sabbia per poi spiccare il volo sollevando nugoli di polvere bianca come reattori di un aereo. Cavallucci marini purpurei, di dimensioni spropositate, si crogiolano imperturbabili sulla rena; le tartarughe marine spezzano i coralli col becco rostrato e le murene tassellate s’intrecciano e si aggrovigliano, striscianti come serpenti.
Poi arrivano i grossi calibri, i rari, gli autoctoni, quelli del posto. Gli squali leopardo, li vedi acquattati sul fondo, ti osservano. Poi si sollevano sulle pinne anteriori, le puntano come fossero zampe e si staccano dal suolo con un nuoto planato e circolare che ti circonda tutt’intorno. Stupendi. Un’aquila di mare di proporzioni gigantesche plana sulla roccia. E’ tutta nera, traslucida. Esita per un momento, poi riparte a razzo sbattendo le sue enormi pinne pettorali come ali di un uccello. Non temono l’uomo i pesci delle isole Daymaniyat, perché non lo conoscono, lo vedono di rado. Sono sfrontati, diretti, selvatici, straordinari.
Io non dispero. Scruto l’orizzonte, la superficie del mare, guardo, osservo, cerco.
Fino a quando il terzo giorno, durante la sosta di superficie tra un’immersione e l’altra, Said la guida omanita non strabuzza gli occhi e grida: “Whale Shark!”. Eccolo, è lui! Anzi, sono loro. Ci caliamo in acqua in preda alla più incontrollabile agitazione. Sono cinque, ci girano intorno. S’inabissano, tornano in superficie, a spiarci, a giocare con noi, cinque squali balena, tutti insieme, di tutte le misure. Che storia incredibile!
E così tutti i giorni a seguire. La mattina dopo in immersione, un maestoso squalo balena si staglia placido a cinque metri dalla superficie. Said prova a fargli cambiare direzione, gli si para davanti per deviarlo verso di noi. Lui lo guarda con sufficienza e riprende la sua lenta nuotata in direzione opposta. Ma non importa perché il giorno dopo lo rincrociamo, lì in superficie, con la bocca spalancata che filtra il plancton.
Al quinto giorno un’allerta meteo mette in crisi tutti. Un ciclone si sta avvicinando, è già stato identificato nella zona di Muscat. Quella mattina mi presento al diving center, i gestori mi sconsigliano di partire, non è sicuro. Ma una coppia di inglesi decide di andare lo stesso. Mi aggrego. Sott’acqua la corrente si fa sentire, è la prima avvisaglia del ciclone in arrivo. Ripartiamo dopo le due immersioni, il mare comincia ad incresparsi, ma non basta per impedirci di avvistare una pinna che fende la superficie. E’ lui. Ci precipitiamo in acqua, ce lo ritroviamo di fronte, con la bocca spalancata, l’occhio che si gira ad osservarci e gira, in cerchi concentrici intorno a noi, gira per mezz’ora e sta lì con noi, come a premiarci per la nostra audacia, come a compiacerci per la nostra perseveranza, come a salutarci per la nostra fede. L’incontro più bello, quello più indimenticabile, quanto il più improbabile.
Il giorno dopo arriva il divieto ufficiale a uscire in mare. Ne approfitto per una visita alla città di Muscat. La Moschea, il Palace e il Mutrah Souq. Una fila ininterrotta di bancarelle con i prodotti tipici dell’Oman, le pashmine cashmere, i datteri, i profumi e gli incensi. Un melting  pot di gusti e odori, di diverse etnie, di lavoratori che vengono dall’estero per le enormi possibilità di impiego che questo paese offre. Cose preziose e meno preziose, contrattazioni, sempre piuttosto costose visto che l’OMR, il Riyal dell’Oman, è una valuta fortissima, ma un giro piacevole, semplice e rilassato.
Avessimo noi un’atmosfera così, un vivere dolce, naturale. Lo chiamano “l’eremita del Medio Oriente” per la sua riservatezza, al punto da non pubblicizzarsi minimamente. Tanto che pochi sanno che l’Oman è uno dei paesi più sicuri al mondo, tanto che non in tanti sanno che gli omaniti sono estremamente ospitali. Ovunque si vada, ti viene offerto caffè arabo e gustosissimi datteri, erano il mio pranzo dopo una giornata di immersioni.
Quando devi ripartire, andare via, lasciare il paese, quando l'hai perso, è allora che ne senti la mancanza, una mancanza che ha a che fare con il desiderio, con la voglia insopprimibile di rivederlo, di ritoccarlo, di riaverlo.

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